Finita anche per quest’anno la snervante maratona dell’interminabile Festival di Sanremo, si tirano ancora una volta le conclusioni.
Abbiamo avuto la conferma che in Italia siamo tutti come il Mago Otelma, visto che da novembre circolava il nome di Emma come vincitrice di questa edizione; quando la smetteremo di illuderci di assistere ad una gara, forse cominceremo ad ascoltare le canzoni in modo diverso.
L’anno scorso avevo commentato il Festival dicendo che avevo trovato la conduzione Morandi un po’ naif ma spigliata, brillante, diversa, piena di ritmo; quest’anno però, seppur restandomi simpatico Morandi, la conduzione è stata veramente caotica e approssimativa: troppi gli errori che, inizialmente simpatici, alla lunga sono diventati snervanti.
Per non parlare poi dell’audio, con microfoni accesi in ritardo e le voci sempre sotto il livello della musica.
Tralasciamo tutto il resto, compreso Celentano di cui si è parlato anche troppo, e veniamo ad alcune considerazioni musicali.
Il giovane Alessandro Casillo si è meritata la vittoria però, e lo dico senza alcun campanilismo, la nostra Celeste Gaia avrebbe meritato di arrivare tra i primi quattro (nonostante il look completamente sbagliato) perché il brano era proprio carino e cantato bene.
La serata con gli ospiti stranieri è stata il momento più “alto” del Festival.
La Bertè (nonostante abbia bellamente “scippato” la canzone a Macy Gray) è riuscita a commuovermi con la sua intensa interpretazione del brano della sorella Mimì: non la sentivo cantare così bene da almeno trent’anni!
L’ingiustamente esclusa Irene Fornaciari con il grandissimo Brian May ha scosso l’Ariston.
I Marlene Kuntz hanno vinto il Festival per due ragioni: sono riusciti a non farsi massacrare dopo l’infausta presentazione che li ha definiti “l’unico vero gruppo rock italiano” e hanno avuto la soddisfazione (quella sera, almeno un migliaio di musicisti avrebbe pagato per essere al loro posto) di poter accompagnare un mito come Patty Smith; e questo basta e avanza.
Samuele Bersani (che ha vinto il premio della critica) ha portato un bellissimo brano, troppo colto per Sanremo (anche musicalmente, viste le citazioni di Randy Newman, Brian Wilson e altri grandi), sfatando così l’impressione avuta lo scorso anno, con la vittoria di Vecchioni, che Sanremo aprisse alla canzone d’autore.
Il fatto poi che i Matia Bazar siano stati eliminati, con una canzone (se vogliamo) un po’ vecchia ma assolutamente perfetta per Sanremo, mi ha confermato la schizofrenia che pervade le scelte delle fantomatiche giurie.
Troppo spesso ci si dimentica che Sanremo è (ed è sempre stata) soprattutto una vetrina, per cantanti nuovi o ripescati, per canzoni commerciali che hanno sempre avuto lo scopo di farsi canticchiare dalla gente. Un tempo si pubblicavano dei libriccini, una sorta di Canzonieri, con le parole delle canzoni per aiutare la gente a cantarle subito.
Vi sfido a cantare una qualsiasi delle canzoni arrivate in finale.
Quella dei Matia Bazar mi sono trovato a canticchiarla mentre andavo in bagno, durante uno degli intervalli pubblicitari.
E veniamo, finalmente, a quella che è stata la vera fulminazione e che già l’anno scorso mi aveva colpito favorevolmente; quest’anno ho capito che abbiamo trovato la degna erede di Mina: Nina Zilli.
E’ assolutamente bravissima! E non è solo la voce ad essere strepitosa, è anche la fisicità musicale e l’armonia dei movimenti che accompagnano la sua esibizione a renderla diversa da tutte le altre.
Datemi retta: è nata una stella! |