A distanza di quattro mesi dalla morte del Maestro Carlo Mo, l'Università di Pavia nella persona del Rettore,con il sostegno della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, ha voluto ripristinare un premio che era nato nel 1996 creato voluto e realizzato dal maestro con l'aiuto dell'allora assessore della Provincia Nino De Sigis.
Il premio consiste in un grande collare di forgia medioevale, costruito con tutti gli stemmi smaltati delle più importanti famiglie nobili pavesi, l'Università, il Comune e la Provincia, raccontando un'antica storia della città di Pavia: gli scudi e gli smalti pavesi.
Si narra che nel lontano medioevo, grazie alla forza motrice del torrente Carona, che muoveva dei mulini (esiste ancora a Pavia la Strada dei Mulini), i pavesi riuscissero a battere scudi fortissimi ma nel contempo estremamente leggeri. Divennero molto noti non solo per questa peculiarità, essenziale allora, ma anche per l'abilità che avevano gli artigiani pavesi di produrre smalti di rara bellezza. Da tutto ciò si originò un ulteriore prodotto: il Gran Pavese.
Esso era uno scudo di grandi dimensioni sotto cui si potevano riparare più guerrieri. Si dice che la fila di bandiere che orna le navi in festa prenda il suo nome da questa antica tradizione.
Ci sono due perchè essenziali nella scelta di questa simbologia: la prima è che Mo amava profondamente Pavia, il suo silenzio, la sua capacità di non mutare, la sua storia, la sua Università. Ne aveva stima. L'idea nacque da questo: il primo premiato fu il professor Faggin, inventore in California del microchip (quella piccola cosa che ci ha cambiato la vita); il secondo si rivolge all'arte dello scultore. Mo forgiava il metallo, per dargli una forma attraverso sequenze di superfici che catturavano la luce e scolpivano lo spazio intorno alle sue opere. Il colore del metallo, per lui acciaio inox, è sempre stato essenziale nello studio dei suoi lavori. La superficie del Ticino, fiume molto amato da lui, era una sua continua ispirazione, un fiume che portava con se la storia di una città che grondava sangue da ogni suo mattone.
L'acqua, il metallo ed il colore erano dunque motivi essenziali nel pensare la sua arte, da qui il passaggio del testimone. Per realizzarlo chiamò il suo allievo della Nuova Accademia d'Arte di Milano, dove insegnò per 15 anni, Alberto Cotogno, un uomo che sa lavorare il metallo, scolpisce gioielli di rara bellezza, si tratti di oro, platino, acciaio, perle o smalti, il suo quinto figlio, che dopo otto anni si ritrova ad un lavoro del suo vecchio maestro. |