Si inaugura martedì a Pavia “Vista d’artista”, l’esposizione di una selezione di opere di Pierre Buraglio, artista francese di origini italiane che per la prima volta propone in Italia alcuni dei suoi lavori, realizzati nel suo lungo percorso artistico, dagli anni Sessanta a oggi.
La scelta di Pavia come location della mostra nasce dall’amicizia di lunga data con Daniela e Bruno Morani, i fondatori dell’ormai mitico SpazioMusica.
La mostra si tiene presso la sala espositiva del Collegio Cairoli, che, fin dagli anni Settanta ha spesso accolto, promosso e valorizzato esperienze d’arte contemporanea di rilievo e che, con questo nuovo progetto, prosegue la sua tradizione.
Il percorso artistico di Pierre Buraglio inizia alla metà degli anni Sessanta, quando l’artista, dopo “corretti” studi accademici, si affaccia sulla scena artistica francese con opere come i Recouvrements (ricoprimenti), la successiva serie degli Agrafages o quella dei Camouflages. Nei primi sono il colore e il gesto del pittore ad occupare il primo piano e il supporto è un oggetto di recupero occultato, cancellato; i secondi sono lavori dell’artista da lui distrutti e ricomposti in nuove configurazioni, attraverso graffette, nastri adesivi, ovvero mezzi lontanissimi da quelli tipici dell’arte, anche quella più libera; gli ultimi propongono ulteriori camuffamenti del supporto con tele e smalti.
Buraglio appare in quegli anni molto vicino alle esperienze di quegli artisti, poi riuniti sotto il nome di Supports/Surfaces, che concentrano l’attenzione del loro fare sull’aspetto oggettuale dell’opera e solo in un secondo momento sul suo valore pittorico, profondamente nutriti di teorie e ideologie marxiste e rivoluzionarie. Ma proprio quando tali tendenze cominciano a farsi movimento, e forse quindi le opere corrono il rischio di diventare merci sottoposte alle leggi del mercato, Buraglio si ritrae dal mondo dell’arte e comincia a lavorare come operaio in una tipografia.
La scelta non è provocatoria, né sentimentale, non è un romantico immergersi nella genuinità delle classi lavoratrici nel momento in cui l’agognata rivoluzione fallisce: è partecipazione al mondo, è lavoro puntuale e delicato, è arte, anche se in altra forma.
L’esperienza non sarà breve e lo occuperà per cinque anni, dal 1969 al 1974, dopo i quali riprende il filo del suo discorso, questa volta partendo dal supporto, dalla cornice, da quegli stessi elementi che aveva coscientemente annullato e nascosto in precedenza. Buraglio gioca ora con il “fantasma della pittura”, utilizza chassis, telai, veri infissi di legno (ancora una volta oggetti recuperati) tra i quali tira fili invisibili o assembla vetri con diversi gradi di trasparenza e di colore che portano, con le loro nitidezze od opacità, il mondo reale nel mondo dell’arte.
Un altro importante passaggio nella riflessione di Buraglio è il confronto con la tradizione, quella dei grandi maestri delle generazioni immediatamente precedenti sino a giungere agli artisti del Rinascimento italiano: non copie, bensì analisi profonde e libere, non ripiegamento, ma nuova creatività.
Il lavoro di Buraglio appare nella sua evoluzione, lenta, meditata, vitale, un percorso profondamente etico che al contempo produce risultati estetici emozionanti, un fare d’artista che, nella sua modestia e perseveranza, non perde neppure per un momento il suo valore forse più alto: la libertà contro ogni ideologia limitante, contro ogni stile imposto dalla critica o dal mercato, contro ogni stereotipo prescritto come realtà.
Per questo motivo il percorso artistico di Pierre Buraglio merita di essere conosciuto anche in Italia. Ecco quindi i motivi per una mostra retrospettiva che mira a colmare questa lacuna e che intende essere fonte di successive e nuove riflessioni sull’arte del tempo presente, sulla sua azione e il suo senso.
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