Impossibile non parlarne. E allora facciamolo.
Mercoledì sera Indie 11 colma una lacuna fino a qualche anno fa ritenuta impensabile per Pavia: in programma ci sarà infatti l’ultimo film di Clint Eastwood: Lettere da Iwo Jima, un’anteprima assoluta per la città.
La serata si chiama “La natura della violenza” e, prima di Eastwood mostra, sempre in prima visione, come d’altronde gli altri otto titoli di Indie quest’anno, Grizzly Man, il film shock di Werner Herzog.
Ma, mentre per il primo, un documentario sui generis, storia dell'attivista-ecologista ex drop-out Timothy Treadwell, che a partire dal 1990 studia la vita e i comportamenti degli orsi Grizzly in Alaska, fino all'ottobre 2003 quando, proprio in Alaska, rimane ucciso, un po’ ci avevamo fatto il callo (da quando sugli schermi locali si può contare sul prodotto di qualità, da festival, ma di nicchia in normale programmazione?) per Eastwood è stata davvero una sorpresa.
Ma di cosa parla il film?
Allora, Lettere da Iwo Jima ricostruisce attraverso lettere e disegni scritti dal fronte la guerra quasi privata del generale Kuribayashi, eccellente stratega, del Barone Nishi, aristocratico ex campione olimpionico, del fornaio Saigo, che sta per diventare padre, del tenente Ito, nazionalista pronto al suicidio, di Shimizu, guardia militare che ancora non ha perduto la sua fede e il suo idealismo, nonostante tutto. Non la guerra nel suo insieme però, ma l’episodio definitivo, lo stesso di Flags of Our Fathers: la conquista dell’isola di Iwo Jima da parte degli americani e la strenua resistenza giapponese. Il film precedente, appassionato e freddo al tempo stesso, doveva fare i conti con l’esigenza di smontare la retorica propagandista rappresentata dalla fotografia della bandiera sul monte Suribachi senza intaccare l’eroismo dell’impresa. Un risultato in parte didascalico, eppure potente. Lettere da Iwo Jima porta invece Eastwood a ragionare sulla “percezione degli altri”. Più libero, coraggioso nelle scelte di regia del precedente Letters lascia ai margini le azioni di guerra guerreggiata. I camminamenti, i tunnel fatti scavare da Kuribayashi nella terra nera dell’isola, sono già quell’inferno, che le nostre anime temono. La fotografia desaturata di Tom Stern, i dialoghi di Iris Yamashita. Tutto contribuisce a costruire la fama di questo film: una fiaba grigio-scura, cupa e commovente.
Anche se Clint non è un giapponese, e non lo diventa con questo film, vedi il personaggio con il quale scatta l’immedesimazione, Kuribayashi, accusato dai suoi stessi commilitoni di essere filoamericano, e Lettere da Iwo Jima non è Flags of Our Fathers dal punto di vista del nemico, è difficile lasciare la sala senza la commossa convinzione di aver assistito ad una storia di uomini e di guerra raccontata in modo autentico. Senza la retorica di un pacifismo a tutti i costi, senza la costruzione dell’eroe per forza: soltanto con lo sguardo fisso all’uomo, americano o giapponese che sia. L’uomo forte, codardo, pazzo o savio. In fondo soltanto l’uomo.
E se ancora pensate che mercoledì non sia il caso di mettere il naso fuori di casa: beh, scusatemi ma non so più che cosa dirvi!
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